Behavioral, relational and cognitive team characteristics? Yes please!

The solution of many complex problems and many innovative ideas arise from the integration of different skills, sometimes very far apart, and it must produce solutions that are not only new, but definitely better than those already adopted. For these reasons, we must innovate the way of working in groups by strengthening the aspects of effectiveness and efficiency often overlooked or underestimated in the planning stage. We must begin to consider a group as a well defined entity and understand it’s characteristics: behavioral, relational and cognitive.

We ruin in the first grade

In spite of the theme of decision-making in groups have already carried out many studies and there are some tools and methods to facilitate these processes, consider that we have left out some key aspects: “the behavior” of the group (and not the individuals that make it up ), the environment in which the group has to work together and make decisions, planning and execution of collaborative activities.

In the past decade I had the opportunity to work with groups of all sizes, from 5 to 300 people and the first consideration I can make is that we are educated to operate individually since school… and even when we work in groups, we almost always do it as sum of individuals, identifying our individual target within (at best) the objective of the group. In fact watching a preschooler we find that:

  • Very often prefer to play in groups
  • Share the moment of the game is as important as the game itself
  • The same game made alone tired very quickly and it is not as fun as when done in the company.

Our change begins in first grade, when we are behind the school desk, usually single,  where the vote is individual judgment, where is the personal performance to determine success or failure.

This gives rise to the inevitable relationship problems and position: while everyone is naturally inclined to assert its position and identity, the issue to be addressed, the subject of discussion (from their individual point of view), the decision to make, ends up pass secondary.

For this reason we learn that is better to build small project teams over multiple hierarchical levels: less prone to argue, less risk of conflict, more responsiveness.

Can work with simple problems, but when the questions get complex, or when the variables are at play, the result is: long time and compromise solutions. A mediation downward, certainly not satisfactory when it comes to innovation, strategic objectives, organizational or technological.

Matteo Andreacchio

Ci roviniamo in prima elementare

Nonostante sul tema della presa di decisioni in gruppo si siano già svolti molti studi ed esistano alcuni strumenti e metodi per facilitare questi processi, ritengo che si siano tralasciati alcuni aspetti fondamentali: “il comportamento” del gruppo (e non dei singoli individui che lo compongono), l’ambiente nel quale il gruppo deve lavorare insieme e prendere decisioni,  la progettazione e l’esecuzione di attività collaborative.

Ho avuto modo di lavorare negli ultimi dieci anni con gruppi di ogni dimensione, dalle 5 alle 300 persone e la prima considerazione che è importante fare è che siamo educati a operare individualmente fin dalla scuola e anche quando lavoriamo in gruppo, quasi sempre lo facciamo come somma di individui, identificando il proprio obiettivo individuale all’interno (quando va bene) dell’obiettivo di gruppo. In effetti guardando un bambino in età prescolare ci accorgiamo che:

  • Molto spesso preferisce giocare in gruppo
  • Condividere il momento del gioco è importante quanto il gioco stesso
  • Lo stesso gioco fatto da soli stanca molto in fretta e non è divertente come quando fatto in compagnia.

Il nostro cambiamento inizia in prima elementare, quando ci troviamo dietro un banco, solitamente singolo, dove il voto o giudizio è individuale, dove è la performance personale a determinare il successo o l’insuccesso.

Da qui nascono gli inevitabili problemi relazionali e di posizione: mentre ognuno è naturalmente portato ad affermare la propria posizione e identità, la questione da affrontare, l’oggetto della discussione (dal proprio punto di vista individuale), la decisione da prendere, finisce col passare in second’ordine. Per questo di norma si tende a costruire team di progetto piccoli o articolati su più livelli gerarchici: meno soggetti che discutono, meno rischio di conflitti, più rapidità operativa. Può funzionare con i problemi semplici, ma quando le questioni si fanno complesse, ovvero quando le variabili in gioco sono molteplici, il risultato è: tempi lunghi e soluzioni di compromesso. Una mediazione al ribasso, di certo non soddisfacente quando si tratta di innovazione, di obiettivi strategici, organizzativi o tecnologici.

Matteo Andreacchio

Il Chief Business Model Officer

L’analisi dei dati delle ricerche di mercato sulle vendite degli ultimi anni (es. CSO Insights), ma anche la sensazione generale all’interno delle aziende ci dicono che nonostante si sia consapevoli dei cambiamenti in atto e delle conseguenze a mantenere le vecchie posizioni non si è ancora capaci di adattare continuamente i propri processi ai cambiamenti del mercato.

Non basta più pensare ad innovare o cambiare una volta il modo in cui opera l’azienda, bisogna pensare ad una funzione che gestisca in maniera strutturale l’evoluzione del business a tempo pieno: Chief Business Model Officer

 

Matteo Andreacchio

Caratteristiche caratteriali, comportamentali, relazionali e cognitive nei gruppi? SI!!

La soluzione di qualunque problema complesso e l’innovazione nascono dall’integrazione di competenze diverse, a volte molto distanti tra loro, e deve produrre soluzioni non solo nuove, ma decisamente migliori rispetto a quelle già adottate, per questi motivi bisogna innovare il modo in cui si lavora in gruppo rafforzando gli aspetti di efficacia ed efficienza molto spesso sottovalutati o sottostimati in fase di progettazione. Bisogna cominciare a considerare un gruppo come un’entità ben definita e capirne le caratteristiche: caratteriali, comportamentali, relazionali e cognitive. 

Matteo Andreacchio

Il valore è tra le competenze

Le riunioni della camera e del senato, quelle delle giunte regionali, provinciali e comunali, i tavoli di coordinamento degli enti, i consigli di amministrazione delle grandi imprese private, i meeting di progetto o di business unit, fino alle riunioni di associazioni e di condominio, hanno tutte un comune denominatore: bisogna prendere decisioni in gruppo. Il problema però è che molti elementi dei processi decisionali utilizzati, non sono stati pensati e disegnati per prendere decisioni, ma per discutere e confrontarsi. Bisogna ripensare alla base i processi decisionali, l’integrazione di competenze è fondamentale per il successo di qualunque attività, il valore è tra le competenze non più nelle competenze individuali.

 

Matteo Andreacchio

Nuovi modelli di business

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambiamento radicale dei mercati e l’impatto sulle reti di vendita è decisamente alto. Questo vuol dire che è fondamentale innovare molti aspetti dei modelli di business che hanno fin qui accompagnato la presenza sul mercato: Bisogna guardare ad una moltitudine di fattori tra loro fortemente connessi e per farlo è necessario coinvolgere molte funzioni contemporaneamente per non perdere tempo nella fase di implementazione.